Sono da poco rientrato dalla fiera di Dubai (vedi post novembre 2013) e lo storm braining dei tanti contatti avuti mi ha portato ad alcune riflessioni.
Da quando nel 1966 il petrolio è stato scoperto e Dubai si è lasciata alla spalle la sua storia di piccolo villaggio di pescatori lo sviluppo economico ha avuto un incredibile accelerazione; non sempre lineare. Oggi il petrolio non è più il driver dello sviluppo. Dubai è diventata grazie agli investimenti in infrastrutture, polo turistico e commerciale.
Nella fiera appena conclusa ho incontrato operatori provenienti non solo dalla penisola araba, ma per esempio anche dall’Iran e dal Sudan. L’impressione è che gli Emirati siano diventati la piazza commerciale di un’area che ad est ha come confini il Pakistan e il Kazakistan e ad ovest l’Egitto ed il Sudan. Zummando ancor di più, vediamo gli Emirati in una posizione baricentrica tra l’Europa, l’Africa e l’Asia. Come in Europa le fiere più importanti si svolgono in Germania, così Dubai sta diventando il perno degli scambi commerciali di un’area molto estesa. Lo sviluppo di un secondo aeroporto che farà diventare Dubai lo scalo passeggeri più importante al mondo (160 milioni di passeggeri nel 2030) indica chiaramente quali sono le ambizioni degli sceicchi.
Gli incentivi fiscali, la creazione di free trade zones e la disponibilità di mano d’opera a bassi costi proveniente dai paesi vicini, completano il quadro. L’80% della popolazione è composto da stranieri, India in testa; con le luci ed ombre che queste situazioni si portano con sé.
Esiste a Dubai il Gold Souk, una vera e propria tradizione di commercio e lavorazione dell’oro che trae le sue origini dai periodi storici in cui Dubai era crocevia del commercio che dalle Indie si chiudeva in Europa e viceversa. Oggi gli investimenti realizzati e la posizione geografica stanno riportando Dubai al centro del commercio mondiale. Il detto locale che recita “He who holds the gold, makes the rules” sta tornando di attualità.